GESÙ PREGA PER SÉ, PER LA SUA GLORIFICAZIONE
(Traduzione dal greco e commento a cura di d. Carlo De Ambrogio)
1Così parlò Gesù; poi alzando gli occhi al cielo disse: «Padre, l’ora è venuta: glorifica tuo Figlio perché tuo Figlio glorifichi te, 2e, col potere su ogni creatura che tu gli hai conferito, doni la vita eterna a tutti coloro che tu gli hai dato. 3La vita eterna è che conoscano te, solo vero Dio, e il tuo inviato, Gesù Cristo. 4Io ti ho glorificato sulla terra; ho compiuto l’opera che tu mi avevi dato da fare. 5Adesso, Padre, glorificami con la gloria che io avevo accanto a te prima che il mondo fosse. 6Ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu hai scelto dal mondo per darli a me. Erano tuoi e tu li hai dati a me ed essi hanno fatto tesoro della tua parola».
(Gv 17, 1-6)
È la grande preghiera sacerdotale di Gesù, detta nel Giovedì Santo, al termine della cena pasquale e dell’istituzione dell’Eucaristia.
Poco prima Gesù aveva detto: «Ecco venire l’ora, anzi è già venuta, in cui sarete dispersi ognuno per proprio conto e mi lascerete solo. Ma io non sono solo; il Padre è con me. Vi ho detto queste cose perché in me voi abbiate la pace. Nel mondo avrete da soffrire. Ma fatevi coraggio: io ho vinto il mondo» (Gv 16,32-33).
Adesso riassume tutti i suoi discorsi e le sue confidenze in un colloquio supremo, con la tenerezza più viva, in una preghiera sacerdotale che è di una bellezza immensa, intangibile, inarrivabile. Tutte le pagine della più splendida letteratura non valgono questa preghiera bellissima. Dicevano i Rabbi ebrei al Concilio di Iamua, quando introdussero nel canone ebraico il Cantico dei Cantici: «Tutta la lirica del mondo non vale il Cantico dei Cantici». A fortiori, la preghiera sacerdotale di Gesù.
Fa centro a questa parola stupenda: Padre! Vi echeggia l’intima tenerezza di Gesù verso il Padre. Nel Vangelo di S. Giovanni riaffiora più di cento volte la parola Padre. In S. Marco, nel Getsemani, è riportata col suo timbro originale aramaico: Abbà (in ebraico: Ab; in greco è semplicemente trascritto prima del termine Pater) che esprime una nota di particolare confidenza: babbo. È il Padre che ci vuol divinizzare.
Diceva Sant’Atanasio: «II Cristo risorto reca all’uomo una gioia eterna».
Così parlò Gesù (aveva appena terminato di dire le sue confidenze agli apostoli); poi alzando gli occhi al cielo (tre volte l’espressione «alzare gli occhi»: qui, nella moltiplicazione dei pani e nella risurrezione di Lazzaro): l’Eucaristia è legata alla Risurrezione.
Alzando gli occhi al cielo disse: «Padre, l’ora è venuta». È l’ora per eccellenza, tanto attesa da Gesù. Sarà così anche la nostra ora, l’ora della nostra morte, della nascita al cielo, della risurrezione. La nostra vita converge verso quel punto estremo, terminale. È l’ora in cui si apre la porta di casa; dietro la porta c’è il Padre con le braccia aperte che ci attende. Attende il balzo ultimo del nostro cuore verso di lui.
Glorifica tuo Figlio. L’ora è legata alla glorificazione; Gesù prega per sé. Nei primi sei versetti della preghiera sacerdotale. Gesù prega per se stesso; dal versetto 6 al versetto 20, è Gesù che prega per gli undici discepoli; dal versetto 20 alla fine, Gesù prega per ciascuno di noi. Noi sentiamo echeggiare questa preghiera di Gesù in particolare per ognuno di noi.
Glorifica tuo Figlio. È la gloria della risurrezione. La gloria è il fulgore della presenza diDio; è luce; il corpo sarà trasfigurato; non possiamo immaginare quello che saremo.
Glorifica tuo Figlio perché tuo Figlio glorifichi te. (Dopo la parola Padre, ecco la parola Figlio: noi siamo figli nel Figlio). Perché tuo Figlio glorifichi te, e, col potere su ogni creatura (“carne” è l’espressione ebraica e vuol dire la natura umana vulnerata dal peccato e dalla morte) che tu gli hai conferito (potere immenso, totale), doni la vita eterna a tutti coloro che tu gli hai dato. Ogni parola ha un peso profondo.
Doni: è un puro dono; la vita eterna: cioè la vita di Dio che è l’Eterno; non tanto una vita che non avrà più fine, quanto la vita stessa di Dio, una cosa inimmaginabile; non lo possiamo assolutamente pensare, sarebbe come chiedere a un bimbo prima di nascere, come sarà il mondo che lo attende: non può saperlo, lui si riterrebbe soddisfatto nel seno materno; invece no, fuori l’attendono (dopo lo strazio della nascita) la luce, il sole, la musica, la carezza, la parola, il contatto con altre persone, le bellezze del mondo; cose inconcepibili per lui. Immaginate che cosa ci attende al di là delle soglie della morte: la Vita Eterna! La vita di Dio che è l’Eterno!
A tutti coloro che tu gli hai dato. Dio vuole tutti gli uomini salvi; ognuno è un dono del Padre a Gesù. In contraccambio Gesù ci dà la stessa sua vita («Io sono la vita» – cf Gv 14,6), la vita stessa del Padre («Io e il Padre siamo uno» – Gv 10,30b). Questa vita si chiama anche Spirito Santo, perché è Lui che vivifica.
E subito il versetto 3 specifica: La vita eterna è che conoscano te, solo vero Dio, e il tuo inviato. Gesù Cristo.
Il verbo conoscere, con la risonanza ebraica del verbo «jadà», vuol dire amare. La vera vita che noi continueremo per sempre al di là di tutte le scadenze inimmaginabili e possibili di miliardi dì secoli, sarà amore.
La vita di Dio, che è l’Eterno, è conoscere e amare te, solo vero Dio (Dio è una parola trascendente che ci folgora) e il tuo inviato Gesù Cristo. (Gesù invece è una parola che ci avvicina, che ci fa sentire in comunione di vita con lui, perché Gesù è il Gesù storico; Cristo è il Cristo della fede. Gesù è Jesus praedicans, Cristo è Christus praedicatus; l’inviato, poi, fa tutt’uno con colui che l’invia).
Conoscere e amarete. Conoscere e amare Gesù: in questo amore si sente l’onda dello Spirito Santo.
Poi un’espressione splendente: Io ti ho glorificato sullaterra.Al termine della nostra vita noi dovremo dire la stessa parola rassicurante: io ti ho glorificato. Ah, essere stati una lode di gloria del Padre Celeste sulla terra, durante questa breve, brevissima vita terrena!
Io ti ho glorificato… ho compiuto l’opera che tu mi avevi dato da fare. È l’opera che gli era stata affidata dall’immensa tenerezza del Padre. Di ci ama di un amore eterno, impossibile a descrivere.
Adesso, Padre: riemerge la parola «adesso», il momento attuale è decisivo per l’eternità; in ogni istante si gioca l’eternità.
Adesso, Padre, glorificami con la gloria che io avevo accanto a te prima che il mondo fosse. Questa gloria (che è luce, potenza, maestà, divinità e che Gesù ha smorzato durante la vita terrena, l’ha congelata all’infimo grado, soprattutto sulla croce), falla splendere adesso.
Io l’avevo accanto a te, prima che il mondo fosse. Di un balzo si rifà all’indietro, miliardi di anni, prima che il mondo fosse.
Ecco l’opera tanto curata da Gesù: Ho manifestato il tuo Nome agli uomini. Ti ho fatto conoscere come Padre. Il tuo Nome è il nome di Padre. Il Padre reca in sé un timbro di gioia, di confidenza, di affetto, di amore. Agli uomini che tu hai scelto. Tutti noi siamo una scelta; c’è una libera preferenza di amore per noi da parte di Gesù e da parte del Padre.
Scelti dal mondo, per darli a me. Erano tuoi e tu li hai dati a me. Ognuno di noi è un dono del Padre; un dono a Gesù; un dono preziosissimo. «Se tu sapessi quanto amo un’anima — diceva Gesù a un’anima santa — moriresti di gioia».
Ed essi hanno fatto tesoro della tua parola. La parola di Gesù, l’hanno incisa nel cuore, l’hanno raccolta come Maria che la conservava in una specie di scrigno.
Geremia all’inizio della stagione della primavera vide un mandorlo in fiore e subito sentì la voce del Signore che gli diceva: «Che cosa vedi?». Un mandorlo che veglia a fiorire. La parola aramaica mandorlo e il verbo vegliare si equivalgono. Il Signore subito gli rispose: «Ecco», «io vigilo sulla mia parola, per realizzarla» (cf Ger 1,11-12).
Un poeta spagnolo, Antonio Machado, scrisse un gioiello di lirica un mattino in cui vide un albero schiantato dalla folgore, che in una spaccatura lasciava germogliare alcuni piccoli boccioli di gemma. Captò, attraverso quell’albero, una specie di messaggio umano-divino.
«Olmo, quiero anotar en mi cartera
la gracia de tu rama verdecida.
Mi corazón espera
también hacia la luz y hacia la vida
otro milagro de la primavera».
(Olmo, voglio notare nei miei fogli di poesia, la grazia del tuo ramoscello rinverdito. Il mio cuore spera tuttavia, teso verso la luce e verso la vita, un altro miracolo della primavera).
Attraverso le parole di Gesù noi sentiamo la tensione verso il miracolo della Risurrezione, che è una fioritura meravigliosa, che è la Vita eterna. Occorre però fare tesoro della Parola di Gesù. Padre Valensin, prima di morire, scrisse queste stupende parole come suo testamento finale; vennero poi lette prima che calassero la sua bara nella fossa: «La Rivelazione ci insegna che questa vita eterna consisterà in una divinizzazione della nostra persona, e ciò è stupendo. Grazie alla Rivelazione commentata dalla Chiesa, io so che, dopo questa vita, farò conoscenza senza veli col mio Creatore, che è il mio babbo, e ritroverò presso di lui le persone che ho amato e quelle che amerò ancora.
E questa volta so che ciò è sufficiente per togliere alla morte il suo carattere di separazione e di rottura. È la via a un appuntamento in cui alcuni arrivano prima, altri arrivano dopo, ma in cui tutti noi possiamo e dobbiamo arrivare. Oh, la riunione definitiva — eterna, eterna, eternamente felice; felice senza inquietudine, felice senza nube, felice senza rischio, e senza pericolo — assicurataci da Gesù».
L’ultima parola di Padre Valensin prima di chiudere fu: «Grazie, Padre Celeste, Padre mio».