GESÙ PREGA PER CIASCUNO DI NOI
(Traduzione dal greco e commento a cura di d. Carlo De Ambrogio)
20«Io non prego solo per essi, ma anche per quelli che, grazie alla loro parola, crederanno in me. 21Che tutti siano uno. Come tu. Padre, sei in me e io in te anch’essi siano uno in noi, perché il mondo creda che tu mi hai inviato. 22Io ho dato loro la gloria che tu mi hai data, perché essi siano uno come siamo uno noi: 23Io in loro e tu in me, perché siano perfettamente uno, e il mondo sappia che tu mi bai inviato e che io li ho amati come tu hai amato me. 24Padre, io voglio che là dove sono io siano con me anche quelli che tu mi hai dato, perché contemplino la gloria che tu mi hai data, poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo. 25Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto ma io, sì, ti ho conosciuto e costoro hanno riconosciuto che tu mi hai inviato. 26Io ho rivelato loro il tuo nome e glielo rivelerò ancora perché l’Amore con cui tu hai amato me sia in essi e io in loro».
(Gv 17, 20-26)
La preghiera di Gesù ha due temi che corrono paralleli: glorificazione e unità: Io non prego solo per essi, cioè per gli undici suoi discepoli. Accanto agli Undici noi possiamo immaginare che ci fosse la Madonna, perché tocca alla madre di famiglia (anche attualmente) presso gli Ebrei, accendere le luci della cena pasquale.
Io non prego solo per essi, ma anche per quelli che, grazie alla loro parola…: i discepoli trasmettono la parola stessa di Gesù, che non è sua, ma del Padre. Sarà sempre la stessa parola, lo stesso fuoco. Grazie alla loro parola, crederanno in me. Crederanno, aderiranno, quindi ameranno Gesù. Ognuno di noi, in una maniera unica, è racchiuso in queste parole di Gesù.
Oggi il Cenacolo è abbandonato; sotto c’è la tomba del re Davide; il Cenacolo è lasciato in trascuratezza. Quando vi si entra, ci prende subito la commozione: ecco la sala dove Gesù fece l’ultima cena, dove comparve risorto, dove discese lo Spirito Santo, dove nacque la Chiesa.
Che tutti siano uno! Tutti. Come nel corpo umano ci sono miliardi di cellule, una diversa dall’altra e formano un unico corpo, cosi noi saremo perfettamente uno. Noi saremo in Dio; Dio sarà tutto in tutti e noi saremo in tutti. Come tu. Padre, sei in me e io in te, anch’essi siano uno in noi. Queste parole lasciano sgomenti; si affonda nel divino. Il Padre in Gesù; l’essere del Padre nel Figlio si chiama Spirito Santo.
Perché il mondo creda che tu mi hai inviato. Siano uno in noi, già adesso; sarà una testimonianza di unità, di amore. Per rendere credibile la nostra parola occorre l’amore, l’amore fraterno. Il Giovedì Santo è la giornata dell’Eucaristia, ma è anche la giornata dell’amore fraterno, perché l’Eucaristia ci lega e fonde insieme.
Io ho dato loro la gloria che tu mi hai data. Qui la parola «gloria» significa lo Spirito Santo, luce divina, che ci trasforma. È lo Spirito Santo che ci dà la vita. La gloria che tu mi hai data. Gesù è pieno dello Spirito Santo, ci trasmette dalla croce lo Spirito. «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20,22), disse quando alitò sui discepoli, dopo la Risurrezione.
Ho dato loro la gloria che tu mi hai data, perché essi siano uno come siamo uno noi. È lo SpiritoSanto che ci rende perfettamente uno.
Io in loro e tu in me. Sfolgora l’abisso della divinità. Perché siano perfettamente uno.
In S. Giovanni, l’avverbio «perfettamente», nella prima lettera indica la perfezione dell’amore. Conseguenza: l’unità è la perfezione dell’amore; tutto il resto, il sorriso, la carezza, il bacio è periferia dell’amore. La perfezione dell’amore è l’unità, occorre fondersi totalmente insieme. Tutto quello che noi vediamo quaggiù sulla terra dell’amore umano, anche la fusione umana, non è che un segno pallidissimo di quello che sarà la realtà; la realtà ci supera immensamente. Noi saremo addirittura, per usare l’espressione di un Padre della Chiesa, «liquefatti nell’unità», come disciolti; conserveremo il nostro io, la nostra persona, il nostro soggetto interiore, ma la nostra espressione corporea sarà l’unità del Corpo Mistico.
E il mondo sappia che tu mi hai inviato (di nuovo Gesù ripete che il mondo crede solo all’amore fraterno) e che io li ho amati come tu hai amato me. L’amore deve essere il respiro della vita. Ogni giornata deve essere tessuta di amore, dal mattino alla sera; deve essere come una sinfonia, un Cantico dei Cantici, il canto più bello, il canto dell’amore, dal mattino alla sera.
Due cose sono istintive nell’uomo: il nutrirsi (e Gesù è il vero Pane; il pane materiale è solo un segno) e l’amare (e Gesù è lo Sposo del Cantico dei Cantici, che è un inno all’amore).
Padre: parola tenerissima. Io voglio (non dice vorrei; io voglio, è Dio che comanda) che là dove sono io (ecco il sogno dell’amore: fondersi, essere dove è la persona amata) siano con me (tutta la gioia di S. Paolo è così formulata: «saremo sempre con il Signore» – 1 Ts 4,17b) anche quelli che tu mi hai dato. Il versetto 24 è tutto un versetto sul cielo, ma non sono che lampeggiamenti di cielo.
Perché contemplino la gloria che tu mi hai data. Siamo come estasiati in quella beatitudine di gioia che è la contemplazione. Oggetto visivo: la gloria, la bellezza, la luce di Dio. Il vedere il volto di una persona lascia certe volte come soggiogati di gioia, quanto più il volto di Dio: «Quando… vedrò il volto di Dio?» (Sai 41,3b). «Mostrami la tua Gloria» (Es 33,18), chiedeva Mosè. Il volto umano non è che l’ombra infinitamente sbiadita della bellezza divina. Noi saremo volto, saremo luce, saremo bellezza, saremo amore.
Poiché tu mi hai amato. Ecco la parola che fa perno: «amato». Nell’orologio tutto il bilanciere poggia sui rubini; la preghiera di Gesù poggia sulla parola «amore».
Tu mi hai amato prima della creazione del mondo: un amore che travalica i secoli, un amore che è eterno. Il grido della sposa nel Cantico dei Cantici verso il Diletto, che è Dio, suona così: «Oh se tu fossi un mio fratello!» (Ct 8,1).
Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto (è la tenebra del misconoscimento del mondo, dell’odio del mondo), ma io, sì, ti ho conosciuto (ti ho amato; Gesù lo dice con tenerezza) e costoro hanno riconosciuto che tu mi hai inviato,e quindi che sono uscito da te, che sono Dio.
Il versetto 26 chiude con una preghiera trinitaria, così bella che non ce n’è altra uguale: Io ho rivelato loro il tuo Nome. Aveva detto: «Ho manifestato il tuo Nome» (Gv 17,6), ti ho fatto conoscere come Padre. Nessuno come Gesù ci ha parlato di Dio con una tenerezza simile: il Padre che nutre gli uccelli, che veste i gigli del campo, quanto ha maggior cura di noi! Il Padre del figlio prodigo!
Io ho rivelato loro il tuo Nome e glielo rivelerò ancora (attraverso lo Spirito Santo). Ogni giorno è una rivelazione diDio. Gli avvenimenti della nostra vita ci parlano di lui, sono le sue parole, noi sentiamo la carezza del Padre ogni giorno, anche quando è una carezza dolorosa.
Glielo rivelerò ancora perché l’Amore con cui tu hai amato me (è lo Spirito Santo l’Amore con cui il Padre ama il Figlio; è il sorriso del Padre verso il Figlio e del Figlio verso il Padre) sia in essi, L’Amore è il .perno di tutta la preghiera sacerdotale: l’Amore, cioè lo Spirito Santo.
Poi il sogno ultimo di Gesù: come un grido di gioia prima di iniziare la sua Passione, Morte e Risurrezione: Io in loro; Gesù ci vuole totalmente fondere, si fa mangiare da noi tanto ci vuole bene; ci vuol fondere totalmente, assorbire in sé, ci ama di un amore così potente, così forte, che addirittura ci mangia, cosa che nessuno di noi potrebbe fare, ma lui sì perché Dio. Io in loro. Ecco il mistero eucaristico: Io in loro.
Diceva il Curato d’Ars: «Ogni volta che noi riceviamo Gesù nell’Eucaristia, è un grado di gloria in più, di luce in più nel nostro corpo risorto». L’espressione è piuttosto scialba; quanto più bella quella di Gesù: Io in loro. Come il pane viene assimilato, così Gesù ci vuole assimilare a sé.
Giorgio Guerin, primo cappellano della gioventù operaia francese, scriveva queste righe: «Pochi giorni fa moriva una persona anziana, circondata dai suoi figli, di cui uno prete. Al momento di morire disse loro queste semplici parole, come suo testamento: Pregate per me. Io pregherò per voi». Aveva capito la preghiera sacerdotale di Gesù. Questa anziana madre aveva una viva coscienza che la nostra partecipazione al riscatto del mondo non termina con la fine della nostra vita terrestre: io pregherò per voi.
Io prego per essi (Gv 17,9), dice Gesù, perché sono io in loro (Gv 17,23). È la fede della Chiesa da sempre; il meditare su tale prospettiva sviluppa in noi la grande speranza di essere sempre più associati al disegno di amore di Dio.
Il Cristo è salvatore del mondo soprattutto adesso. Adesso io vengo a te; perché io, col potere su ogni creatura che tu mi hai conferito» doni la vita eterna (cf Gv 17,13a.2). È soprattutto adesso che da la vita. Se il Cristo ci associa già adesso alla salvezza del mondo nella nostra vita terrestre, tanto più profondamente ci associa alla sua azione attuale di Redentore quando con la morte noi saremo più strettamente uniti a lui; poiché questo ultimo passaggio della morte è una nascita nuova in Cristo Gesù. Occorre sviluppare in noi il grande desiderio di essere associati alla salvezza del mondo con la nostra vita attuale, con la nostra morte unita a quella del Cristo, con la certezza che nell’al di là il Signore Gesù ci renderà operativi con lui, come la Madonna, come gli apostoli, come gli eletti di tutti i tempi.
S. Teresa del Bambino Gesù diceva: «Voglio passare il mio ciclo a fare del bene sulla terra». Poi soggiungeva: «Io penso a tutto il bene che vorrei fare dopo la morte: aiutare i sacerdoti, i missionari, la Chiesa».
Un Giovedì Santo (non ricordo bene l’anno) Teresa del Bambino Gesù notò una scena che la impressionò. La trascrisse così: «Vidi lo stoppino di una piccola lampada quasi spenta. Dava gli ultimi guizzi. Una suora carmelitana vi accostò il suo cero e con quello accese tutti i ceri della Comunità. Feci allora questa riflessione: Ecco, col debole lumino di quella lampada sarebbe possibile incendiare tutto l’universo di luce. Noi crediamo spesso di ricevere delle grazie, delle luci divine, attraverso dei ceri fiammeggianti; ma da dove quei ceri ricavano la loro fiamma? Forse dalla preghiera di un’anima umile e nascosta, senza nessuna apparenza, senza virtù riconosciuta, addirittura occulta anche ai propri occhi, quasi vicina a spegnersi come quel lumino. Quante volte ho pensato che io devo tutte le grazie di cui sono stata ricolmata alla preghiera di una piccola povera anima che conoscerò soltanto in ciclo. È la volontà del buon Dio che in questo mondo le anime comunichino tra loro e si scambino i doni celesti attraverso la preghiera, perché quando saranno in patria lassù, possano amarsi di un amore di riconoscenza, di un affetto ben più grande di quello della più ideale famiglia sulla terra».
La preghiera sacerdotale di Gesù ci lega insieme e ci fa sentire che quaggiù noi saremo perfettamente uno. «Io in loro».